LONGO, Marco (1996): Un
introduzione al modello di CAMPO GRUPPALE, a partire dai concetti di STRUTTURA
POLIADICA e FUNZIONE GAMMA e dal loro ulteriore sviluppo nel pensiero di F.
Corrao, Revista Acheronta Nº 4, Diciembre, http://psiconet.com/acheronta
“Oggi parleremo di alcuni concetti di Francesco Corrao
che rappresentano tuttora un contributo basilare alla costruzione di un modello
psicoanalitico della struttura del gruppo ed alla comprensione del suo specifico
funzionamento mentale” Il modello a rete: Freud, Lewin, Bion. Così Foulkes,
facendo riferimento agli studi di Lewin sul concetto di campo, che risalgono
alla metà degli anni '30, riasssumibili nella nota formula per cui << il
tutto contiene di più ed altro rispetto alla somma delle sue parti>>, per
descrivere meglio ciò che gli appariva come una polidimensionalità caratteristica
del pensiero e della comunicazione nel gruppo, coniò il modello di rete
matriciale.
Número
4 - Diciembre 1996
(Cyber)spazio
mentale di gruppo
Un introduzione al modello di CAMPO
GRUPPALE,
a partire dai concetti di STRUTTURA
POLIADICA e FUNZIONE GAMMA
e dal loro ulteriore sviluppo nel pensiero
di F. Corrao
Marco Longo
Ciò che non si vede
disturba la mente degli uomini
assai più profondamente di
ciò che essi vedono.
Giulio Cesare.
Revista Acheronta.
Oggi parleremo di alcuni
concetti di Francesco Corrao che rappresentano tuttora un contributo basilare
alla costruzione di un modello psicoanalitico della struttura del gruppo ed
alla comprensione del suo specifico funzionamento mentale.
Come lo stesso Corrao ci
avverte nel suo lavoro del 1981, che si intitola per l'appunto Struttura
poliadica e funzione gamma (F. Corrao 1981, Struttura poliadica e funzione
gamma, Gruppo e Funzione Analitica n. II - 2, Marzo - Luglio 1981, edito a cura
del Centro Ricerche di Gruppo "Il Pollaiolo", Roma; lavoro presentato
poi anche al Fifth European Symposium of Group Analysis, Roma 2-5 Settembre
1981. N.B. - le citazioni di Corrao sono quasi tutte tratte da questo articolo,
a meno che non venga altrimenti specificato. Le parole tra parentesi quadre
sono mie aggiunte, che hanno lo scopo di rendere più sintetico e scorrevole il
discorso), ogni tentativo di cogliere e descrivere le caratteristiche
psicodinamiche del gruppo comporta l'avvicinarsi ad una <<configurazione
ipercomplessa, estremamente variabile, inabituale dal punto di vista
percettivo, emotivo e cognitivo, quindi con carattere di indefinitezza,
incertezza, evanescenza>>. Per cercare di costruire un'adeguata
rappresentazione di tale complessità, Corrao parte dall'analisi critica del
noto modello a rete della struttura gruppale.
Riconosciuta la validità
del modello, almeno per quanto riguarda la sua capacità di descrivere gli
aspetti della comunicazione nel gruppo, Corrao ne critica invece
l'inadeguatezza rispetto alla capacità di rappresentarne compiutamente gli
aspetti strutturali ed il funzionamento mentale; passando poi per l'attenta descrizione
dei livelli rappresentazionali del pensiero di gruppo e delle caratteristiche
del linguaggio gruppale, Corrao affronta l'analisi dell'origine e dello
sviluppo del pensiero nel gruppo, e quindi delle sue funzioni simbolopoietica e
mitopoietica; infine, analizzando le operazioni logiche conservative e
trasformative che avvengono all'interno della situazione gruppale, ipotizza la
presenza nel gruppo di una specifica funzione trasformazionale, che denomina
funzione gamma.. Sull'argomento egli ritorna anche più estesamente in un
seminario dell'85, intitolato Spazio mentale (F. Corrao, Spazio mentale,
seminario tenuto presso il Centro Ricerche di Gruppo "Il Pollaiolo",
Roma 14 Marzo 19851), in cui egli da un contributo fondamentale alla definizione
del concetto di campo gruppale. Ma andiamo per ordine, riprendendo innanzitutto
il modo in cui si era giunti in psicoanalisi alla definizione del modello a
rete.
Il modello a rete.
Il modello reticolare fu
elaborato soprattutto da Foulkes all'inizio degli anni '40, come sviluppo del
precedente concetto di <<rete di legami libidici>> di cui aveva
parlato Freud nel '21 in Psicologia delle masse.
Foulkes, attraverso lo studio sperimentale nei gruppi, si rese conto
dell'insufficienza del modello teorico freudiano, che evocava eccessivamente
una rigidità ed una staticità nei rapporti di collegamento affettivo tra i
membri del gruppo, tenendo conto quasi esclusivamente del transfert, e che di
conseguenza inseriva un'idea di piatta bidimensionalità nella rappresentazione
della psicodinamica gruppale, cosa che mal si conciliava con i risultati
dell'osservazione diretta. Tale modello appariva inoltre oramai datato, alla
luce dell'attiva ricerca sull'i$entificazione proiettiva e sugli altri aspetti
primitivi della mente che si svolgeva in quegli anni.
Così Foulkes, facendo
riferimento agli studi di Lewin sul
concetto di campo, che risalgono alla metà degli anni '30, riasssumibili nella
nota formula per cui << il tutto contiene di più ed altro rispetto alla
somma delle sue parti>>, per descrivere meglio ciò che gli appariva come
una polidimensionalità caratteristica del pensiero e della comunicazione nel
gruppo, coniò il modello di rete
matriciale. Con il concetto di matrice, scelto per fare un chiaro
riferimento al concetto di mater, Foulkes intese sottolineare l'aspetto
specificament% originale della situazione gruppale, che non dipende solo dalla
somma delle caratteristiche della personalità dei singoli membri; la matrice
manifesta invece una sua struttura ed autonomia funzionale, che in qualche modo
trascende gli individui, anche se è da essi globalmente costituita e condivisa,
essendo inoltre in un certo senso capace di condizionarne il pensiero, il
linguaggio ed il comportamento.
Negli stessi anni Bion giunse ad analoghe conclusioni,
prendendo però le distanze dal modello a rete e parlando esplicitamente di mente di gruppo ed introducendo, tra
l'altro, i concetti di sistema protomentale , di assunti di base e di gruppo di
lavoro. Secondo Corrao, che
introdusse il pensiero di Bion in Italia alla fine degli anni '60, Bion preferì
non utilizzare un concetto che si rifacesse ad un modello spaziale
convenzionale, necessariamente bi o tridimensionale, ma tese a sottolineare
l'aspetto complesso anche se sostanzialmente e funzionalmente unitario del
gruppo.
Partendo come Foulkes dal
modello topologico di campo, Bion mise in evidenza che tale modello indica
unità e coesione, ma anche contemporaneità e reciprocità; così, per cogliere la
polidimensionalità del gruppo, gli apparve più opportuno non parlare più di rete, riferendosi invece ad un modello di tipo
fisico-matematico che tenesse conto anche delle dimensioni temporale e
operazionale del pensiero nel gruppo, nonché delle funzioni mentali che ne
sottendono e determinano la nascita e l'evoluzione. E questo è anche il
sentiero che ha continuato a percorrere Corrao. Ma prima di affrontare più
specificamente il discorso di Corrao, penso che potrebbe essere utile l'uso di
una metafora, prendendo spunto da un'esempio di rete e di comunicazione
reticolare così attuale e per alcuni versi così evocativo. E chissà, forse
Corrao stesso, attento com'era ad ogni situazione scientifica o tecnica nuova,
soprattutto se coinvolgeva in una dinamica di gruppo un numero più o meno
grande di persone, ne avrebbe a suo modo parlato, se non fosse prematuramente
scomparso nella primavera del '94.
Un esempio attuale di rete: Internet.
Come probabilmente sapete
in questo momento si parla molto, anche in contesti non specialistici, di
Internet e di Ciberspazio. Internet è una rete di interconnessione universale
tra nodi informatici, cioè singoli computers terminali o piccole reti locali di
computers; una grande rete a sviluppo mondiale dunque che, attraverso l'uso di
uno specifico linguaggio comune, detto protocollo TCP/IP, permette la comunicazione
e il trasferimento di testi e dati, compreso grafica, suono e filmati
digitalizzati, tra elaboratori anche molto diversi tra loro per potenza e
configurazione hardware; e tutto questo utilizzando come supporto la normale
rete telefonica, rendendo quindi il sistema aperto a chiunque, in qualunque
parte del globo, possieda un computer, un modem, un telefono e un indirizzo
telefonico, sia su rete commutata, che cellulare o satellitare.
Per Ciberspazio si intende invece l'universo informatico che grazie ad
Internet si è venuto a costituire, uno spazio virtuale, che in qualche modo
rappresenta un sistema gemello dello spazio naturale, in cui è possibile
"navigare" (questo è il termine correntemente utilizzato) e
raggiungere in "tempo reale"
ogni singolo luogo del mondo, ovvero ogni nodo computerizzato della rete e i
suoi dati. E questo solamente al prezzo di una telefonata urbana.
Al concetto informatico di
Ciberspazio, forse proprio a causa della omnipresente ed immediata fruibilità
di ogni informazione, si sono fin dall'inizio sovrapposte molte aspettative e
fantasie, forse troppe (e penso all'illusione gruppale di cui parla Anzieu), come sempre accade per i
fenomeni nuovi che coinvolgono gran parte dell'umanità, basta pensare al
telefono, al cinema, e naturalmente alla radio ed alla televisione; così oggi
da più parti si parla di Internet in termini di "comunità virtuale" o
di "villaggio globale" e c'è perfino chi si azzarda a parlare di una
sorta di "nuovo illuminismo" che il sistema potrebbe rendere
possibile.
Questa ipotesi si basa sul
fatto che con Internet ogni "cittadino del mondo" può in ogni momento
ricevere e pubblicare informazioni che comunque restano stabilmente accessibili
a tutti nella memoria digitale collettiva del sistema; è nata così in molti la
speranza o l'illusione che "la madre di tutte le reti", come Internet
è stata spesso definita (e qui penso non solo a Saddam Hussein, ma anche alla
mater di Foulkes), che Internet, dicevo, possa contribuire a facilitare la
risoluzione in senso democratico di molti problemi della civiltà umana, ad
esempio favorendo una "nuova rivoluzione francese", pacifica e incruenta
questa volta, ma capace di opporsi e sconfiggere l'attuale gestione feudale
dell'informazione o l'assolutismo monarchico rappresentato dal controllo dei
mass media da parte di pochi e potenti gruppi economici. In verità c'è chi
afferma, forse più realisticamente, che stiamo assistendo alla nascita di un
più raffinato sistema di televideo, in attesa della televisione interattiva
(tanto che sono già stati presentati sul mercato degli apparecchi ibridi,
televisori che contengono anche un computer e un modem), il cui controllo
resterà con tutta probabilità saldamente nelle mani di chi gestisce o gestirà
la televisione. Si ripeterebbe così ciò che è già accaduto per le radio pirata
e le televisioni private; del resto già ora sono attive in Internet vaste aree
di pubblicità e vendita per telecorrispondenza.
Ma forse quello che più ci
può interessare in questo contesto è il fatto che nel ciberspazio ogni
individuo è virtualmente in contatto sincronico con tutta l'umanità; ma non si
tratta di un contatto fisico, bensì di un collegamento immediato ma non sensoriale,
attraverso uno spazio invisibile, uno spazio topologico in cui si percepiscono
al contempo la lontananza e la vicinanza, la rarefazione del vuoto e la
pienezza totale. Non a caso alcune delle fantasie su Internet parlano di
"grande caverna oscura"; non a caso uno dei più diffusi sistemi di
navigazione sulla rete si chiama "Gopher", che è il nome di un
piccolo roditore che scava e vive in lunghissime gallerie sotterranee, il cui
nome scientifico è significativamente Gopherus polyphemus; non a caso ancora,
ma le possibilità di esempio sarebbero quasi infinite, una dei più importanti
nodi italiani di Internet si chiama "La città invisibile".
Uscendo allora
dall'esempio, si potrebbe dire che, pur non essendo Internet una vera struttura
gruppale, in quanto manca ogni contatto di tipo sensoriale tra i suoi
"cittadini", viene comunque percepita da una parte della nostra mente
come una sorta di grande campo gruppale. Ciò dipende dalla perturbante consapevolezza
della vastità della sua estensione, che espone ad una simunltanea sensazione di
caduta vertiginosa e di galleggiamento; dalla regressione indotta
dall'impossibilità di vedersi, parlarsi e udirsi direttamente, unitamente alla
sensazione quasi magica che il monitor sia una finestra sul mondo che permette
un contatto e un dialogo universale; e ancora dall'immediatezza del
collegamento con ogni sito, abbinata all'apparente trasparenza e forse alla
rimozione del supporto tecnico informatico e telefonico, che crea l'illusione
di una sorta di sospensione del tempo e di un'immersione in un continuum spaziotemporale;
tutto questo fa sì che l'invisibile ciberspazio venga colmato da fantasie
proiettive e da aspettative tipicamente gruppali.
Per spiegarci questo
fenomeno possiamo utilizzare l'ipotesi bioniana che postula l'esistenza di una
parte gruppale della nostra mente, distinta e indipendente dalla parte
individuale della mente stessa; una componente gruppale del pensiero che in
certe condizioni si può attivare anche indipendentemente da un effettivo
collegamento psico-fisico con altri individui, ad esempio in presenza di una
regressione della componente individuale e di una struttura reticolare
complessa che faccia da supporto agli elementi caratteristici di questo tipo di
pensiero; un supporto che proprio perché invisibile risulta capace di fungere
da sostegno o da contenitore alla fantasia dell'effettiva esistenza di uno
spazio virtuale condiviso; una parte della mente che si presenta come una sorta
di valenza insatura, una funzione di collegamento beante, in attesa di
incontrare o creare un campo gruppale. Tenendo presenti queste considerazioni,
riprenderei ora il discorso su Corrao partendo dalla sua definizione di
collegamento reticolare e di gruppo invisibile.
Monade, diade, triade e poliade.
Nel suo articolo dell'81,
dopo aver definito i concetti di insieme , come aggregato di oggetti o monadi,
e di struttura , come organizzazione morfologico-funzionale di un insieme di
oggetti, Corrao descrive la
relazione diadica come l'unità minima di ogni relazione intrastrutturale tra
gli oggetti stessi, analizzandone tutte le implicazioni semantiche, sia sul
piano filosofico e psicologico sia su quello della logica formale astratta e
della dialettica tra gli opposti. Dall'operazione di mediazione dialettica tra
tesi e antitesi sorgono le configurazioni triadiche , in cui la sintesi è
l'elemento che permette la risoluzione e l'evoluzione.
Nel gruppo, afferma Corrao,
i fenomeni mentali sono scanditi <<dal ritmo costante dei processi di contatto,
comunicazione e distacco>> tra tutti gli oggetti che compongono
l'insieme, come in un sistema organizzato di collegamenti reticolari,
intendendo per oggetti sia i singoli membri, sia gli oggetti mentali che
vengono prodotti e scambiati dai membri nel gruppo stesso; e tuttavia, ad una
prima superficiale osservazione, non il sistema nel suo insieme, ma l'apparente
emergere di <<strutture relazionali diadiche e/o triadiche si può
considerare il fenomeno di massima frequenza>>. Questo dipende dal fatto
che è più difficile riuscire a cogliere la struttura poliadica del gruppo, cioè
<<la totalità organizzata delle interrelazioni tra gli elementi o membri
che lo costituiscono>>.
L'osservazione e quindi
l'analisi della struttura poliadica è più difficile perché <<si tratta di
una struttura di sfondo, spesso latente o virtuale>>, in un certo senso
invisibile , alla quale si sovrappongono, almeno nella nostra percezione, le
figure più facilmente visibili, di tipo diadico e triadico. Per Corrao dunque
il gruppo come insieme e i fenomeni di gruppo <<non sono corrispondenti ad
osservazioni empiriche>>, al contrario <<sono tutti riferibili ad
un piano [sottostante, ma fortemente condizionante] che non si vede>>
(F.C.'85). Aggiungerei che così come per poter vedere le stelle non ci deve
essere il sole o altre fonti artificiali di luce abbagliante, nello stesso modo
per cogliere la struttura poliadica del gruppo occorre fare il buio in una
parte del nostro sistema percettivo, e poi scavare nel buio e nell'invisibile;
e ancora, seguendo l'indicazione bioniana, si tratta di attivare e mantenere
sempre nel qui ed ora un'ottica di tipo binoculare: con un occhio rivolto al
contenuto, ai fenomeni emergenti, più legati ai rapporti tra gli oggetti, ed
uno rivolto al contenitore, il funzionamento mentale attuale del gruppo.
Le critiche al modello reticolare.
Parlando di sistema
organizzato di collegamenti reticolari Corrao, come Bion, vuole dunque mettere
l'accento sugli aspetti strutturali e funzionali del sistema poliadico, non
sugli oggetti che lo compongono. A suo avviso il modello a rete è comunque
ancora utile per raffigurare i rapporti diadici e triadici tra gli oggetti,
così come essi appaiono nel campo del visibile, e in questo senso egli afferma
che <<il modello reticolare presenta il vantaggio di consentire
circoscrizioni di settore, scelte alternative o selettive delle connessioni
[tra gli oggetti] in esame>>, rendendo in parte possibile, come nell'uso
dello scudo da parte di Perseo, <<l'esplorazione cognitiva indiretta
della struttura>>.
Ma in questo modo la
dimensione specifica del gruppo resta comunque invisibile, o forse è
inguardabile, come Medusa, il cui sguardo pietrificava chi osava guardarla
negli occhi. Dico questo perché, come è noto, la piena immersione nella
situazione di gruppo comporta sempre un certo grado di regressione per
l'individuo e la comparsa di fenomeni di depersonalizzazione; l'individuo
ovviamente cerca di difendere la sua identità, rifugiandosi appunto dietro lo
scudo del suo pensiero individuale. Così facendo però si perde di vista il
gruppo e i suoi fenomeni colloidali e magmatici, che, restando ancora un attimo
nella metafora, possono forse essere ben rappresentati dal groviglio di
serpenti che ricopre la testa di di Medusa. Secondo Corrao se si vuole
osservare pienamente e direttamente il gruppo occorre una <<simultaneità
di auto ed etero osservazione, e la sinestesia sincretica di:
contenitore/contenuto, interno/esterno, parte/tutto>>, il che implica che
<<la modalità di osservazione adeguata sembra consistere in un assetto
mobile e divergente di tipo asintotico [rispetto al consueto uso del pensiero
individuale], cioè caratterizzato da accomodazioni continue, corrispondenti
alle variazioni continue ... della struttura [gruppale]>>.
Il modello reticolare gli
appare invece il risultato di una modalità di osservazione troppo vincolata
<<in modo specifico ad aspetti carichi di sensorialità o
materialità>> (F.C.'85), tutta protesa a rintracciare la rassicurante
continuità di nodi e collegamenti, dando luogo ad una rappresentazione rigida
della struttura poliadica gruppale, potrei quasi dire pietrificata. Con
l'introduzione del concetto di campo gruppale invece è possibile, come nel
modello quantistico della fisica, cogliere gli aspetti di discontinuità del
gruppo ed i salti logici caratteristici del pensiero gruppale, o ancor meglio,
come nel modello topologico, la compresenza e la simultaneità, momento per
momento, di continuità e discontinuità. In questo senso non è più necessario
restare ancorati ad un modello reticolare, <<non è più necessario che teniamo
conto delle connessioni materiali, dei fili che legano un nodo a un altro
nodo>>; così facendo possiamo permetterci di perdere di vista gli oggetti
concreti e, come per gli orbitali degli elettroni, utilizzare la teoria delle
probabilità ed affermare che le particelle sono in ogni momento in ogni punto
del continuum spazio-temporale.
Ne deriva che nella
situazione gruppale a struttura poliadica gli elementi del pensiero possono
essere considerati come sempre disponibili in maniera diffusa nel campo, liberi
da rigidi collegamenti reticolari locali, diadici o triadici, precostituiti, e
quindi anche disponibili ad essere oggetto di operazioni trasformative di tipo
globale. In altre parole, favorire la costituzione e il mantenimento del campo
gruppale permette di superare il rischio di una continua riproposizione locale
di contenuti e significati che potrebbero risultare saturanti per la vita
mentale del gruppo, facendolo precipitare e cristallizzare in una situazione
rigidamente e difensivamente bidimensionale o al massimo tridimensionale, più
familiare e rassicurante per gli individui, ma comunque caratterizzata da un
blocco a livello spazio-temporale, come nelle situazioni fortemente
condizionate dagli assunti di base.
La funzione gamma.
Stabilito che la
costituzione del campo gruppale comporta sempre per i membri una regressione de
una deindividuazione, si potrebbe affermare che il livello di strutturazione
poliadica raggiunto dal gruppo è in ogni momento dipendente dal grado di
regressione degli individui che ne fanno parte.
Secondo Corrao tale
regressione comporta:
a) fenomeni di
depersonalizzazione
b) trasferimento del senso
dell'identità dall'individuo al gruppo
c) riduzione delle funzioni
soggettive di vigilanza cosciente, con manifestazione di stati oniroidi o ipnoidi
In termini bioniani si può
dunque parlare di una situazione che si caratterizza per una attenuazione o la
sospensione o addirittura in certi momenti per l'inversione delle funzioni
mentali della personalità individuale e specificamente della funzione alfa.
Come è noto Bion diede il nome di funzione alfa
a quella parte della nostra mente a cui spetta il compito di svolgere le
operazioni trasformative che permettono di elaborare ed organizzare tutte le
nostre esperienze sensoriali ed emotive, generando elementi alfa, cioè gli
elementi base per la costruzione del pensiero. Alla funzione alfa spetta anche
il compito di costotuire e mantenere una barriera limitante tra conscio e
inconscio.
La sospensione della
funzione alfa rende dunque impossibile la distinzione tra elementi consci e
inconsci, per cui gli elementi sensoriali ed emotivi non trasformati, gli
elementi beta di Bion, invadono la
mente. Ma questi elementi primitivi, non potendo essere elaborati, sono
fastidiosamente vissuti come "cose", per cui la mente cerca di
liberarsene espellendoli nel campo circostante. Di conseguenza, scrive Corrao,
<<il campo extra-personale dei soggetti, cioè il campo gruppale, viene
progressivamente invaso ... dagli elementi beta. Questi elementi tuttavia
possono essere trattenuti dalle strutturazioni [reticolari] preorganizzatesi
nel campo gruppale>>, dando luogo alle configurazioni dette assunti di
base, a meno che non intervengano le funzioni trasformative proprie della
struttura poliadica.
Sulla base di queste
considerazioni Corrao denomina funzione gamma
la capacità del gruppo di trasformare gli elementi sensoriali ed emotivi
primitivi, definendolo <<l'analogo simmetrico, nella strutura di gruppo,
di ciò che rappresenta la funzione alfa nella struttura personale>>. Le
operazioni trasformative indotte dalla funzione gamma sugli elementi basici
immessi nel campo gruppale portano alla produzione di elementi gamma, necessari
per la formazione del pensiero di gruppo. Si tratta di <<un pensiero multiplo,
multifocale o policentrico>>, ad andamento vorticoso e ad elevato
gradiente di produttività, che utilizza contemporaneamente livelli e strumenti
logici diversi, anche opposti.
Concluderei con le parole
dello stesso Corrao: <<se utilizziamo il concetto di campo non c'è
bisogno di pensare allo spazio intermedio tra interno ed esterno, perché nel
campo, visto che tutti i punti possono essere utilizzabili, ci possono essere
[simultaneamente] interni, esterni, intermedi ... perché è omnicomprensivo. Il
modello di funzione gamma presume che vi siano trasposizioni o omeomorfismi
funzionali, omeofunzionalismi tra mente individuale e mente gruppale. Col
concetto di campo possiamo parlare con maggiore disinvoltura di apparato
mentale transpersonale o produzione di pensieri gruppali. Kaës, per dare una
giustificazione concettuale ... [alle sue riflessioni teoriche sull'apparato
mentale gruppale, parla di apparato pluripsichico, ma parlare di] ...
pluripsichico implica la necessità di [continuare a] distinguere e di occuparsi
dei singoli membri del gruppo. Non è nell'accezione [poliadica che noi vogliamo
indicare] della multidimensionalità simultanea. Invece col concetto di campo
possiamo tranquillamente parlare di transpersonale>>
Seminario del Dr. Marco
Longo
CATTEDRA DI TEORIA E TECNICHE DELLE
DINAMICHE DI GRUPPO
(Prof.
Claudio Neri)
Roma, 17 Febbraio 1995
http://psiconet.com/acheronta
< Revista Acheronta>
Número 3 - Mayo 1996
La cura nel gruppo
Marco Longo
Fin dalle fasi iniziali di
un gruppo terapeutico, come del resto in ogni tipo di gruppo umano che si riunisca
attorno ad un obiettivo condiviso, si può ben rilevare la presenza
"tra" i membri di una forte attivazione emozionale, perlopiù
inconscia e qualitativamente di tipo illusionale, piuttosto che realistico
(Anzieu); è un fenomeno che non riguarda solo l'<in> dei singoli membri,
ma che abbraccia e coinvolge in una sorta di "emozione condivisa"
l'intero campo gruppale; è un'atmosfera emozionale, alla cui attivazione
sicuramente partecipano tutti i membri, ma che non dipende solo dalla somma
delle "in-tensioni" individuali: è qualcosa in più dell'apporto che
viene dai singoli Io; è il primo abbozzo di un Noi, di uno "spirito di
corpo" (Bion).
Questa emozione condivisa è
particolarmente avvertibile nei gruppi a funzione analitica, in cui i partecipanti
si trovano riuniti in un setting dedicato a lavorare su loro stessi come
pazienti, consapevoli di trovarsi in una situazione da loro stessi scelta,
sulla base di un comune bisogno di prendersi cura di certe parti di Sé. Un
setting in cui verosimilmente si continuerà a riunirsi insieme, periodicamente,
nella stessa dimensione spaziotemporale e per lungo tempo, cercando di dare
"corpo" alla possibilità di incontrarsi e conoscersi, di condividere
oltre allo spazio ed al tempo anche il pensiero (sentimenti, ricordi, fantasie,
ecc.).
È un'emozione che si rileva
non solo nel corso delle sedute, nel momento dell'effettivo lavoro di gruppo,
momento e spazio in cui è maggiormente presente il senso condiviso del Noi, ma
che si può cogliere allo stato nascente anche prima delle sedute, nella sala
d'aspetto, in cui i pazienti si scambiano spesso opinioni e commenti sulle
rispettive esperienze di vita o sul gruppo a cui stanno partecipando, in una
sorta di "crescendo del ritrovarsi" o di "riscaldamento
pre-gruppo"; e così all'uscita dalle sedute, nel restare ancora un poco
insieme prima di sciogliersi definitivamente, prima di reimmergersi nel proprio
quotidiano, quasi ad accompagnare e lenire le tensioni separative che
caratterizzano il gelido momento del distacco.
Nel corso degli anni mi è
apparsa sempre più fondata l'ipotesi che per comprendere ed utilizzare, ai fini
dell'analisi e della cura, la singolare qualità di questa attivazione
emozionale, sia necessario tenere presente in particolare tre sue componenti:
a) in primo luogo la
tendenza dei pazienti ad idealizzare, consciamente od inconsciamente,
soprattutto nei primi tempi, la partecipazione ad un gruppo analitico, ossia ad
un "lavoro di gruppo", ad un lavoro affrontato insieme con la forza
del gruppo; l'insieme gruppale viene infatti pregiudizialmente ritenuto o
creduto, ora a torto, ora a ragione, capace di riuscire molto meglio dei
singoli individui in ogni sforzo, ma in particolare nella ricerca e nella
conquista di una tanto ambita, quanto ahimé illusoria, meta: la
"guarigione miracolosa";
b) in secondo luogo
l'entusiasmo legato al senso di essere contenuti, sorretti, accompagnati e
protetti in un' "area di appartenenza" (Neri) e di ascolto reciproco;
entusiasmo che rappresenta probabilmente l'espressione manifesta di una
particolare "domanda", perlopiù latente ed inconscia invece, degli
stessi pazienti: una domanda non solo di guarigione dal sintomo, ma di aiuto
psicoterapeutico in senso più ampio;
c) in terzo luogo il fatto
che nel gruppo terapeutico tutti i pazienti si sentono alternativamente
(soprattutto all'inizio) o contemporaneamente (in seguito) così uguali e così
diversi tra loro; nello stesso tempo sofferenti o ammalati di qualcosa di così
simile, ma anche di così diversamente declinato in ognuno di loro, tanto da
poter ragionevolmente sperare di potersi al più presto riconoscere, ed essere
riconosciuti, come individui separati ed autonomi.
Ora, in generale per quasi
tutti i pazienti, anche in rapporto alle comprensibili esigenze di emancipazione
dalla loro situazione sintomatica, si pone il problema di gestire insieme sia
un prepotente bisogno personale di sviluppo verso l'individuazione e
l'autonomia, sia una parallela necessità di reimparare a relazionarsi con gli
altri, ovvero a vivere i rapporti provando e ricambiando affetti profondi,
senza fuggire o senza ritrovarsi coattivamente imprigionati in situazioni
simbiotiche o adesive, in cui la relazione decade quasi esclusivamente ad un
livello di tipo manipolatorio.
Sono soprattutto i pazienti
più oppressi dai loro stessi sintomi a manifestare la necessità di ritrovare
nell'ambito del gruppo una situazione emozionale calorosa, in cui sia possibile
interagire e comunicarsi reciprocamente le aspettative ideali e le difficoltà
reali incontrate, le proprie speranze e le proprie angosce. Mossi da questa
necessità, i pazienti sembrano spesso voler realizzare, proprio nello spazio di
aperto incontro e confronto del gruppo analitico, non solo il desiderio di
partecipare ad una esperienza curativa e maturativa, ma anche e soprattutto la
possibilità di dare corpo alla fantasia (perlopiù inconscia) di poter
ricostituire, nell'ambito del campo mentale condiviso, un <gruppo di
appartenenza affettivo>; un gruppo cioè capace di dare effettivamente un
sostegno amorevole ai suoi membri, di contenerli ed accompagnarli nel vivere
insieme la faticosa esperienza del percorso terapeutico.
Ma ben presto tutti i
pazienti si rendono conto dell'esistenza nel gruppo di due aspetti paralleli:
da una parte è così spesso evidente una piacevole e rassicurante similitudine
nel contenuto delle varie rappresentazioni e comunicazioni individuali relative
alle ansie ed ai conflitti, e questo anche se il veicolo linguistico o
idiomatico di ognuno appare molto diverso; contemporaneamente però si
percepiscono sempre meglio una serie di movimenti oscillatori tra opzioni di
fiducia o affidamento e rinnovata sfiducia nel gruppo e negli altri, il che
tradisce anche un certo nostalgico e/o perverso attaccamento resistenziale ai
propri atteggiamenti difensivi e sintomatici. Da una parte quindi emergono, si
incontrano e si associano molteplici rappresentazioni simboliche, le quali,
anche se nate in ambiti sociali e culturali differenti, appaiono così spesso
sovrapponibili, diverse ma dotate di un comune determinatore; e tutto questo
favorisce il progressivo sviluppo nel gruppo di un piacevole senso di coesione
ed un crescente senso di appartenenza (essere con) e di esistenza (essere Sé);
contemporaneamente però si percepiscono emozioni luttuose, derive narcisistiche
ed isolazionistiche, che possono far crescere invece il timore di una nuova
frammentazione del gruppo e di se stessi.
Analizzando insieme al
conduttore questi elementi dinamici, nel corso del lavoro gruppale i pazienti
giungono ad avvertire sempre più chiaramente la compresenza all'interno di sé e
del gruppo di contrapposte tendenze, integrative e disintegrative, e vivono
insieme la tumultuosa oscillazione tra il fascino seduttivo di una
"fusione con" gli altri e la terribile angoscia catastrofale della
"confusione" delle lingue, di una esplosione babelica del gruppo, di
una nuova disintegrazione psicosomatica. Col tempo si rende poi evidente quanto
il desiderato senso di coesione possa essere legato e condizionato dal bisogno
di ritrovare negli altri e nel gruppo la realizzazione e la soddisfazione di esigenze
affettive primarie, nonché una difesa contro la solitudine e l'emarginazione,
soprattutto per chi in fondo si è anche autoisolato; parallelamente la
nostalgia del sintomo e le emozioni luttuose appaiono legate alla percezione
dell'impossibilità di soddisfare appieno nel gruppo queste esigenze affettive,
all'impossibilità quindi di dare realmente corpo ad un'illusione fusionale.
Attraversando ed
elaborando, sempre più consapevolmente, la tempesta emozionale che deriva da
questa situazione di continua oscillazione, il gruppo raggiunge gradualmente un
livello di lavoro che permette ai pazienti di sostenere sempre meglio il
ripresentarsi delle situazioni critiche, procedendo insieme nel percorso di
integrazione che comporta una sempre migliore capacità di sostenere le frustrazioni.
Da tutto questo trarrei ora
lo spunto per una prima considerazione. Mi sembra che, per quanto concerne
specificamente la conduzione dei gruppi analitici, la marcata situazione di
forte attivazione emozionale che stiamo indagando comporti in ogni caso la
necessità di promuovere un lavoro analitico capace di condurre il gruppo ad
elaborare parallelamente sia la presenza di una forte componente illusiva,
dovuta soprattutto alle potenti aspettative iniziali o ai bisogni primari, sia
un'altrettanto forte componente delusiva, dovuta alla riscoperta delle
difficoltà negate, alla sofferenza che si accompagna al tentativo di cogliere e
comunicare agli altri il significato di ciò che si sente emergere dentro di sé
e nel gruppo, e, non ultimo, alla percezione sempre più chiara degli stessi
limiti umani, presenti anche in questo particolare tipo di setting, e
conseguentemente dei limiti spaziotemporali anche del lavoro analitico che è
possibile fare in un gruppo.
Ma fare analisi significa
anche fare esperienza dei limiti, in ogni tipo di setting. Ed infatti nel
gruppo i pazienti si accorgono ben presto che una cosa è il desiderio di
riunirsi in gruppo e una cosa è portare avanti insieme un lavoro di gruppo; e
inoltre che una cosa sono il bisogno di appartenere ad un gruppo, o di fare
massa unica con gli altri, per sentire di possedere un proprio gruppo di
appartenenza, e una cosa è promuovere ed utilizzare insieme la creatività di
tutti i membri, attivando un aperto spirito di collaborazione che lasci ognuno
libero di mettere a disposizione degli altri il suo più personale ed originale
contributo. E anche in questo consiste la possibilità di cura che i gruppi
analitici offrono, o per dirla con Bion, di "apprendere
dall'esperienza".
http://psiconet.com/acheronta
<Revista Acheronta>
Número 4 - Diciembre 1996
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